A distanza di tempo dall’ultima volta, proponiamo, in anteprima, ampi estratti da un nuovo scritto di Aurelio M. Aldrovandi: «Friendly Fire. Il sequestro Moro come false flag operation orchestrata dagli USA» (Faremondo, 2014).
In anteprima, diversi capitoli del libro, evidenziati in giallo nell’Indice. È possibile ordinare il libro nella sua versione integrale, scrivendo a: redazionef@faremondo.org o edizionif@faremondo.org.
Dalla quarta di copertina: «Mai come nel caso Moro quello che pensavamo di sapere, che credevamo di conoscere e come la storia ufficiale avrebbe voluto farci credere, si è rivelato così integralmente falso. Passando in rassegna i fatti accertati e le numerose prove inoppugnabili venute ormai alla luce, lo studioso italo-spagnolo ci guida per mano nei meandri di uno dei più efferati delitti politici del Novecento, puntando il dito là dove deve essere puntato: sulle responsabilità dei veri perpetratori. Dagli avvenimenti del 16 marzo al ruolo del Pci nella vicenda, dalla nascita delle Brigate rosse ai servizi segreti dello Stato, dall’ingerenza della Cia e delle agenzie atlantiche negli affari interni del nostro paese alla gestione dell’intero caso da parte di un agente del Dipartimento di Stato Usa, Steve Pieczenik, la vera eminenza grigia del Viminale in quei 55 lunghi giorni della primavera del 1978, Aurelio Macedonio Aldrovandi disegna una ben diversa interpretazione delle cose rispetto a quella tradizionale. Moro, infatti, non è stato affatto ucciso dalle Brigate rosse, né lo Stato aveva alcun interesse a salvare la vita del primo e ultimo testimone oculare del suo stesso sequestro, perché se lo avesse fatto scenari impensabili e altamente indesiderati si sarebbero aperti davanti all’opinione pubblica italiana e internazionale. Per questo chi aveva nelle sue mani la sorte del prigioniero ha deciso per la sua esecuzione. Un esito d’altronde inevitabile sin dall’inizio, prima ancora di via Fani. Del pari, la presenza in Italia per quasi tutta la durata della vicenda di Steve Pieczenik non aveva affatto lo scopo di far fronte ad una emergenza, bensì quello, opposto, di fare in modo che tutto andasse come pianificato dagli architetti statunitensi e dai loro fiduciari italiani. Il sequestro di Moro doveva concludersi con la sua uccisione perché questa coronava i disegni dei reali perpetratori e consentiva loro di far sparire dalla scena politica italiana ed europea lo stesso Pci, il più forte partito comunista dell’Occidente. Da questo punto di vista, il delitto Moro, per dirla con una calzante categoria del pensiero politico anglosassone, è stato un inside job classico, mandato ad effetto precisamente da quelle stesse istituzioni democratiche e repubblicane che avrebbero dovuto prevenirlo e impedirlo. Segua il lettore nel volume la documentata esposizione di Aldrovandi, e se il timore di entrare nel mondo davvero poco angelico degli arcana imperii gli suscitasse apprensioni più che giustificate, come compenso di non poco momento potrà per contro dirsi di aver scoperto una realtà quasi platonica, di quelle che sulle prime accecano forse, ma grazie alle quali infine si scopre la verità e ci si sente migliori perché più consapevoli.»
Aurelio Macedonio Aldrovandi insegna Storia della patafisica nel Regio Collegio di Catalogna a Barcellona. Ha pubblicato una monumentale opera sulle origini del pensiero alchemico e magico europeo: Historia de la humanidad antes del Cristianismo, 6 vols., Cathedra, Madrid, 1986-1996. Sulla scia di Ildebrando da Padova, attualmente attende ad una storia universale della scienza in Occidente.
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